Fra le opere di Irvin D. Yalom, psichiatra e noto scrittore di saggi e romanzi, possiamo rintracciare una trilogia di romanzi dedicati ad altrettanti filosofi. Il primo di questi romanzi risale al 1992 ed è dedicato a Nietzsche, filosofo di fine ottocento. Il secondo, pubblicato nel 2005, è dedicato a Schopenhauer, filosofo di fine settecento-metà ottocento, ed infine il terzo libro, edito nel 2012, ruota intorno alla vita e al pensiero di Spinoza, che visse nel seicento.
1.“Le lacrime di Nietzsche”
“A taluni, seppure personalmente incapaci di sciogliere le proprie catene, è nondimeno dato affrancare gli amici. Si deve essere pronti ad ardere nella propria fiamma: com’è possibile rinnovarsi senza prima essere divenuti cenere?” (F. Nietzsche, “Così parlò Zarathustra”)
Il primo romanzo in ordine di scrittura, dunque, è “Le lacrime di Nietzsche” (1992, ed. it. 2006).
Yalom immagina che per le terribili emicranie di cui era afflitto il filosofo – e per i suoi più intimi dolori psichici – la sua amica Lou Salomè consulti segretamente Breuer, il noto medico viennese maestro di Freud.
Così Breuer incontra Nietzsche. Il filosofo, dapprima riluttante alla cura della parola, finisce per dialogare con Breuer diventandone paradossalmente il confidente e consulente. Per un “inganno” terapeutico, infatti, Nietzsche viene indotto da Breuer – e poi Breuer viene indotto da Nietzsche – ad entrare in un rapporto analitico ante litteram.
Nell’invenzione letteraria di questo incontro, mentre Breuer si tormenta per i suoi sentimenti controtransferali verso Berta (Anna O.) incontra il filosofo del nichilismo in preda al tormento psicosomatico delle terribili emicranie.
Nelle pieghe della storia vera Yalom inserisce abilmente la storia inventata di un rapporto curioso, verosimile, tra la psicoanalisi nascente (Breuer confidava al giovane Freud le sue sedute col filosofo e si può intuire molto di ciò che poi è diventato il metodo psicanalitico) e la filosofia di inizi novecento, con i suoi drammatici interrogativi. Si vede come ci può essere stato un inevitabile rapporto tra psicanalisi e filosofia, un necessario travaso per comunanza di domande… ma anche un chiaro confine, che è definito dal fatto che sia Breuer che Freud erano due medici. Ad entrambi era chiaro come fosse imprescindibile il corpo, con i suoi meccanismi. Nell’isteria di Anna O. e perfino nelle emicranie di Nietzsche c’è una chiara dimensione psichica, un’irruzione del significato nel palcoscenico del corpo.
Tuttavia mente e corpo, filosofia e nascente psicanalisi entrano in un rapporto dialogico di rispecchiamento e così accade tra paziente e terapeuta. Il romanzo “denuda” il terapeuta Breuer e lo fa umanamente preda delle passioni e delle illusioni, così come lo è lo stesso Nietzsche, molto più chiuso nel suo orgoglio di super uomo, ferito anch’egli da una delusione sentimentale. Il racconto si intreccia attorno a questi rapporti veri e immaginari, o immaginati nel loro avvenire (come nel caso del rapporto tra Breuer e Freud) e ci intrattiene in appassionanti dialoghi in cui si svelano le pieghe dei sentimenti dei protagonisti. Questi, intrappolati nelle convenzioni sociali mitteleuropee di fine ottocento, sono già uomini moderni, pronti a spiccare il volo verso il novecento e verso l’epoca in cui appare l’inconscio.
Nelle conversazioni tra Breuer e Nietzsche, quest’ultimo espone la sua teoria dell’eterno ritorno e prova a convincere/guarire così il medico dalla sua ossessione per Anna O. Ma ciò che libererà Breuer non è il convincimento, bensì l’esperienza emotiva dell’attraversare le proprie illusioni alla luce della propria storia: un processo che suggerisce in nuce ciò che di lì a poco sarebbe diventato il metodo psicanalitico.
Un rischio che questo libro può correre – come alcuni critici hanno notato – è forse quello di risultare ai filosofi riduttivo rispetto al pensiero di Nietzsche. È certamente il punto di vista dello psicanalista a prevalere e a dare il “taglio” osservativo alla narrazione. Tuttavia nel momento in cui Breuer si apre a Nietzsche e rinuncia al potere di medico e insieme alla posizione narcisistica del curante, si crea la condizione per la “guarigione” di entrambi.
Questo incontro tra la nevrosi di Breuer (conflitto interno con il super-io nel classico schema freudiano e nel rispecchiamento controtransferale con Anna O) e la patologia psicosomatica di Nietzsche, intrisa di narcisismo, è anche un incontro metaforico di epoche. Il male più moderno e meno esplicito di Nietzsche anticipa i temi clinici e sociali del nuovo millennio. Non è la soluzione solipsistica del super uomo che potrà guarire Nietzsche, sembra suggerirci “dentro le righe” lo scrittore. In questo il romanzo è ricostruzione storica verosimile ma anche riflessione su temi più attuali, esiti lontani e complessi del super-uomo “nietzschiano”.
Un’opera, questa di Yalom, che ripesca nelle radici della psicoanalisi e rintraccia nella filosofia di fine ottocento-inizi novecento il terreno dove si svilupperà il pensiero di Freud. E’ anche la storia di un’amicizia possibile, e di una comunanza di radici, tra psicoterapia e filosofia.
R. Aurora Mineo