Nel “viaggio verso l’isola della dislessia” c’è tutto: incomprensioni, liti furenti, genitori in panico, sorelle e figlie che si sentono messe da parte quando il problema di un membro della famiglia catalizza l’attenzione di tutti. Un romanzo che ha molto di didattico senza la pedanteria di alcuni manuali e, in più, con la capacità di un unire al tecnicismo richiesto in fase diagnostica un aspetto emotivo che dovrebbe essere, invece, imprescindibile in qualsiasi fase.
Certo Francesca Magni è una giornalista che con le parole ci sa fare, è il suo mestiere. Ma questa volta non parla dalla sua rivista che si occupa di arredamento, parla di suo figlio, parla di Teo, un ragazzino alle prese con un mondo che sembra proprio non capirlo. Parla da madre, da educatrice, si pone le domande che tutti ci poniamo e va fino in fondo anche nel cercare le risposte.”Ma è vero che i dislessici non possono fare lo scientifico? Ma è vero che i dislessici non possono…. “. Non è vero nulla una volta per tutte. Ogni dislessico è un bambino e ogni bambino è una storia a sè, c’è chi sviluppa abilità grafiche, chi logiche, chi manuali. Ci sono molteplici esempi, tralasciando i classici geni, di “persone comuni” che si sono laureate in ingegneria, in lettere… Ci sono persone che per tenacia loro o per supporto di chi gli è stato accanto (e perchè no anche di entrambi) sono riuscite a perseguire semplicemente la strada che desideravano. Ed è per questo che il libro di Francesca Magni apre la porta ad una riflessione sui molteplici livelli coinvolti (normativo, scolastico, familiare, delle relazioni d’aiuto).
Un libro da cui è difficile distaccarsi proprio per la profonda semplicità con cui riesce ad arrivare dritto al cuore delle questioni. Racconta di una mamma che legge, che scopre, che litiga, che cerca di andare oltre per comprendere quanto sta accadendo nella vita del figlio. Allora attraverso la storia di Teo si può comprendere come la dislessia sia una neurodiversità che non è “guaribile” ma perchè non si tratta nemmeno di una malattia. Si tratta di trovare strategie alternative, è questione di chiavi di lettura e comprensione per dotare questi ragazzi di tutte le possibilità che hanno anche i loro coetanei che certo non vengono privati degli occhiali se sono miopi o astigmatici.
Nell’evolversi della storia si incontrano ricchissimi spunti di riflessione utili a tutti gli attori coinvolti quando si parla di dislessia. Allora il “Bambino che disegnava parole” diventa adatto ai genitori, agli insegnanti, ai pedagogisti, agli psicologi ma diventa importante soprattutto alla dislessia e ai dislessici stessi perchè rappresenta un manifesto, una spinta a diffondere cultura e informazione su qualcosa che sembra ancora molto oscuro ai più.
Teo è proprio uno di quelli che “sembra che lo facciano di proposito”, è tanto brillante quando sfuggente e aggressivo quando gli si chiede lo sforzo di pura memoria, quando gli si chiede di andare proprio là dove non può. Teo come tutti i dislessici ha necessità di buone guide, di insegnanti e genitori che coniughino saper insegnare con la giusta dose di autorità e affettività.
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